Censure a Internet, il governo va avanti
Sono terminate ieri mattina le audizioni sul decreto Tv, ribattezzato decreto Romani dal nome del suo ideatore, ma intorno al provvedimento non si placano le polemiche. Oggi le commissioni coinvolte della Camera dovrebbero votare il parere obbligatorio, ma non vincolante, sul testo presentato, mentre domani toccherà a quelle del Senato. Poi la palla passerà al Governo, per valutare eventuali modifiche prima dell’approvazione definitiva in consiglio dei ministri. Ma intorno alla normativa, che dovrebbe recepire la nuova direttiva europea in materia di audiovisivo, si moltiplicano i pareri contrastanti. In particolare, fa discutere la parte del testo che vuole equiparare le web-tv alle televisioni, il che renderebbe necessaria l’autorizzazione per l’apertura dei siti. Molto negativo sull’attuale testo del decreto, il parere del presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò: “un filtro generalizzato su internet da una parte è restrittivo, come nessun Paese occidentale ha mai accettato di fare, dall’altra è inefficace perché è un filtro burocratico a priori”. A suo giudizio, la formula proposta dalla bozza di decreto “è tanto pesante quanto inefficace”. Senza contare, aggiunge Calabrò, che “è fuori dal quadro della direttiva europea, e come tale può far sorgere questioni con la Commissione europea che indubbiamente farebbe dei rilievi”. Il presidente dell’Autorità garante per le comunicazioni non nega l’esistenza di un “problema internet” che “non è un problema che si è inventato Romani”, ma allo stesso tempo ribadisce che “non è un caso che nessun paese occidentale abbia adottato la soluzione Romani”. Secondo il presidente dell’Agcom “un intervento ex post nel caso un sito delinqua è necessario e dovuto, ma un filtro ex ante è non solo una cosa puramente burocratica, poichè non sappiamo se il sito delinquerà o no, ma non tiene neanche conto del fatto che i siti internet sono come la testa dell’Idra, ne chiude uno e se ne apre un altro”. La netta presa di posizione del garante delle Comunicazioni non ha, comunque, scoraggiato il viceministro Romani, che ha rispedito al mittente le critiche al suo decreto: “Non sono d’accordo – ha spiegato Romani alla Camera, a margine della riunione delle commissioni Trasporti e Cultura – su molte delle osservazioni fatte da Calabrò. Sicuramente non sul fatto che l’Italia possa essere paragonata a sistemi autoritari come la Cina. Non abbiamo nessuna intenzione di avvicinare il Paese a modelli di questo tipo”. “La direttiva Ue – ha spiegato il viceministro – assimila le web tv e il live streaming alla televisione: se il discorso di Obama viene trasmesso in diretta via web, per fare un esempio, è da considerarsi un programma televisivo”. Per Romani, “è frutto di un malinteso affermare che il governo voglia censurare Internet. L’unico problema che abbiamo posto riguarda lo sfruttamento commerciale di video realizzati da terzi e resi disponibili on demand: riteniamo che questo tipo di servizio debba essere assimilato al video on demand tradizionale”. Quanto alla cosiddetta “autorizzazione generale” ai siti Internet, “che ha fatto gridare allo scandalo – ha concluso il viceministro – si tratta della possibilità di revoca dell’inizio attività che viene affidata al governo, sulla base di un regolamento stabilito dall’Autorità, nel caso in cui non vengano rispettati i requisiti amministrativi”. Intanto, pareri contrastanti arrivano da un po’ tutti gli schieramonti politici. Inviti ad ascoltare il parere dell’Agcom sono arrivati dal Pd, attraverso il suo responsabile alle comunicazioni, Paolo Gentiloni e da Giuseppe Giulietti, parlamentare del gruppo misto e portavoce di Articolo 21. Anche all’interno della stessa maggiorannza il decreto tv ha evidenziato qualche frizione: Luca Barbareschi (Pdl), vicepresidente della commissione Trasporti, ha annunciato un voto contario al decreto di tutti gli esponenti ex di An, definendo la normativa “una follia”.