Gli ultrasessantacinquenni italiani rappresenteranno, nel 2025, quasi il 40% dell’intera popolazione. Tra essi, non saranno pochi quelli affetti da patologie croniche per le quali poco o nulla riuscirebbe ad offrire la Sanità pubblica nel nostro Paese. È solo uno dei punti su cui si soffermano quattordici scienziati nostrani nel firmare un appello che fotografa la precarietà del SSN. Nel documento sono diversi i punti critici evidenziati che fanno riflettere non poco. C’è un dato statistico, nell’introduzione del testo, che rileva la portata del Servizio nato dalla riforma sanitaria del 1978. Riguarda l’aspettativa di vita. Passata, in meno di quarant’anni, da 73,8 a 83,6 anni: l’incremento più alto tra i Paesi che definiamo “ricchi”.
Sembra però che da qualche decennio quel bene, ritenuto all’origine universalmente fruibile, mostri preoccupanti cedimenti che a volte fanno presagire un totale collasso del sistema. Determinanti, secondo il rapporto, i finanziamenti, spesso insufficienti. Basti pensare che nel 2025 le risorse destinate al SSN saranno pari al 6,2% del PIL. Meno di quanto speso venti anni fa. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: tempi di attesa talvolta superiori a un anno per prenotare esami diagnostici e differenze tra Regioni a volte incomprensibili. L’eventuale autonomia differenziata potrebbe peggiorare la situazione. Si sa peraltro che la spesa sanitaria in Italia non riesce a garantire i cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Quale dunque la ricetta? Nel testo si legge che è necessario un piano straordinario di finanziamento e che solo con risorse specifiche potrebbero assottigliarsi, fino ad eliminarsi, le diseguaglianze territoriali. Sarà fondamentale comunque che quando si scelgono le destinazioni, queste possano garantire una piena efficienza delle risorse. Ancor meglio se supportata da un uso appropriato sia in campo diagnostico che in quello terapeutico. Indispensabile che una parte delle risorse riguardi l’edilizia sanitaria. In maniera convinta, visto che nel Paese un ospedale su tre ha più di ottant’anni e due nosocomi su tre ne hanno più di cinquanta.
Poi c’è il problema degli operatori, il più grande ed urgente di tutti. Per assicurare al personale sanitario una piena competenza occorrono anni di formazione ma anche corsi di aggiornamento durante la vita lavorativa. E se si vuole arginare quella che definiamo “fuga dal pubblico” si deve intervenire, e subito, sulle retribuzioni. Non solo. Bisogna assumere forze nuove, anche in maniera massiccia, se si vogliono garantire condizioni di lavoro sostenibili. Evitando turni massacranti. E allentando le tensioni che, più o meno quotidianamente, generano episodi di insofferenza tra gli utenti. Specie ai “Pronto Soccorso”.
C’è un ultimo aspetto preso in esame dai 14 firmatari del documento-appello. Quello della prevenzione, autentica nota dolente. Anche per una questione di tipo culturale, risulta siano ampiamente insufficienti, un po’ in tutto il Paese, i tassi di adesione a screening oncologici. Un altro aspetto, per certi versi ancora più sconcertante, riguarda la cosiddetta prevenzione primaria: in ambito europeo l’Italia registra uno dei tassi percentuali più alti di bambini sovrappeso o addirittura obesi. Complici, un preoccupante cambiamento nelle abitudini alimentari e la scarsa propensione per le attività sportive. Ma anche a questo proposito, concludono gli scienziati, oltre che una più accurata e incisiva organizzazione, occorrono finanziamenti ed investimenti considerevoli e improcrastinabili. Almeno per metterci in linea con gli altri Stati dell’Unione. In Europa i Paesi avanzati spendono, in materia sanitaria, l’8% del PIL.