Ci ha lasciato Gigi Riva, espressione malinconica del calcio di una volta

0
839
riva

Se n’è andato all’improvviso, in poche ore. In un ospedale della sua amata Cagliari. Dopo aver rifiutato un intervento di angioplastica col quale poteva forse salvarsi. Semplice, modesto, finanche schivo, Giggirriva, così lo chiamavano i tifosi sardi, è stato amato da tutti. Una vita piuttosto crudele, quella del Campione. A Leggiuno, dove era nato nel ’44, in pochi anni Gigi, non ancora adolescente, perdeva prima il papà, poi la mamma. Rimanendo solo con Fausta, la sorella maggiore. C’era stato pure il collegio, dal quale più volte scappò. Forse la fase che più di tutte lo ha segnato. Riva era di poche parole, ma di principi morali invidiabili. Scelse Cagliari non senza difficoltà. Ma poi non l’ha più lasciata. Anche quando ha smesso di giocare.

Nel 2005 il Comune gli ha conferito la cittadinanza onoraria. I club, quelli forti del Nord, lo corteggiarono per lungo tempo. Ma lui non ne volle sapere. Del Cagliari conquista nel ’70 l’unico scudetto. Col mancino, e solo col mancino, tirava bordate micidiali. Manlio Scopigno, che di quello squadrone era l’allenatore, diceva di Gigi “usa il piede destro solo per salire sul tram”. Tre volte capocannoniere in campionato, vestì la maglia azzurra 42 volte mettendo a segno 35 reti. Un record tuttora imbattuto. Con la Nazionale si laureò Campione d’Europa nel ’68 e vice Campione del mondo nel ’70 in Messico, nella finale persa col Brasile di Pelè. Il CT era Ferruccio Valcareggi.

Il resto, se vogliamo, lo hanno fatto gli infortuni. Tre gravissimi. Frattura del perone della gamba sinistra nell’amichevole Italia-Portogallo del 27 marzo ’67 a Roma. Poi al Prater di Vienna, il 31 ottobre del 1970, per la qualificazione agli Europei, stesso infortunio, stavolta rimediato alla gamba destra. Poi il colpo di grazia. Il 1° febbraio 76 si gioca Cagliari-Milan. In uno scontro, peraltro evitabilissimo, col difensore milanista Aldo Bet, il mitico Gigi si strappa l’adduttore della coscia destra. L’episodio sarà determinante a chiuderne la splendida carriera. Quando non aveva ancora 32 anni. Una iattura senza precedenti.

Rombo di tuono, così come lo definì Gianni Brera, volle rimanere, nonostante tutto, nel mondo del calcio. Lo fece in maniera egregia. Prima dirigente del Cagliari, poi della Nazionale italiana. Della quale divenne prima dirigente accompagnatore, poi team manager. Singolari alcune curiosità sul suo conto. Franco Zeffirelli, per il film “Fratello Sole, Sorella Luna”, gli aveva proposto un improbabile San Francesco. Agli inizi degli anni ’60 il mago Helenio Herrera lo boccia ad un provino per l’Inter. E il CT Edmondo Fabbri, ai mondiali d’Inghilterra del ’66, lo esclude dalla lista dei convocati. Ma l’offesa più grande Gigi Riva la subisce qualche sera fa all’AI-Awwal Park Stadium di Riad.

Nell’intervallo di Napoli-Inter, valida per la Supercoppa italiana, nel minuto di commemorazione del Campione, si alza una bordata di fischi davvero osceni e deplorevoli. Una vicenda tristissima e indegna. Si apprenderà poco dopo che nella cultura araba le persone scomparse non vengono ricordate col silenzio. Allora ci si chiede: quanto dureranno ancora le esibizioni in giro per il mondo del nostro circo del pallone? Peraltro fonte di faraonici introiti nelle casse di club e federazioni. Fiumi di soldi che nascondono finanche i diritti umani più elementari e i regimi totalitari più sprezzanti. Il fenomeno, c’è da scommettere, durerà ancora per molto. E pensare che a Gigi Riva, il campione triste, il danaro proprio non interessava affatto. È cosa nota. Ciao Campione. E grazie.