In Francia dilaga la tensione. Su Macron le pressioni della destra

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Sale altissima, in questi giorni, la temperatura degli scontri per le strade delle maggiori città francesi. La polizia stenta a neutralizzare i rivoltosi che colpiscono e devastano senza sconti ogni cosa. Il casus belli della rivolta è l’uccisione di Nahel, il 17enne di origini algerine ammazzato da un poliziotto a un posto di blocco a Nanterre, nella banlieu parigina. Il Presidente Macron per ora si limita a dispiegare migliaia di agenti oltre la norma e fare appello a non uscire di casa. Ma da più parti, specie dai partiti di destra ed estrema destra, si invoca la proclamazione dello stato di emergenza. Certo è che la situazione è davvero critica.

La guerriglia ormai si appresta ad infuocare la sesta notte consecutiva, ieri ci è scappato anche un morto. Quasi mille gli arresti e i feriti, anche tra gli agenti, si contano a centinaia. Difficile prevedere gli sviluppi della situazione. Quello delle banlieu è, e rimane, un problema annoso, un’autentica palla al piede per i governi francesi, già più volte chiamati all’uso della forza. L’état d’urgence fu adottato per la prima volta nel 1955, quando c’era il generale De Gaulle, che lo ripropose nel ’58 e nel ’61. Lo scenario, in tutti e tre i casi, fu il conflitto per l’indipendenza dell’Algeria. Poi il Presidente Chirac, con Ministro degli Interni Sarkozy, nel 2005, con vicende pressoché analoghe a quelle che si vivono in queste ore, decretò lo stato d’emergenza per contenere i gravissimi disordini, durati tre settimane.

Anche allora due giovani scapparono nel tentativo di eludere i controlli della polizia francese. Zyed e Bouna, di 17 e 15 anni, rimasero folgorati in una centrale elettrica dove avevano cercato rifugio. L’assoluzione degli agenti, cui si era addebitata la colpa gravissima dell’omissione di soccorso, contribuì da quel momento ad inasprire ancor più i rapporti tra le forze dell’ordine e i banlieusards. L’accesso della Police in alcuni quartieri delle maggiori città d’oltralpe si è reso sempre più difficoltoso. Già nel 1994 furono fondate le Brigate Anti Criminalità (BAC), quasi un corpo speciale. Quelli che ne fanno parte ricevono una formazione diversa, particolare. Ma ciò che più conta è l’etichetta loro assegnata di garanti della pace, una speciale tutela che li avvicina alla figura di veri e propri ispettori. È evidente la grossolana discriminante rispetto al resto dei colleghi che operano in maniera “normale” nei confronti del resto della comunità. Ed è discriminante ancora più grave, quasi di tipo razzista, quella di cui “godono” i ragazzi di queste crude realtà.

Senza se e senza ma, prevalgono spesso gli abusi che si compiono su giovani frustrati e disillusi. I quali scelgono di delinquere. A ben vedere, non bastano gli sforzi profusi negli ultimi decenni dai governi che si sono avvicendati alla guida della Francia. La realtà delle banlieu appare complessa più di quanto si pensi. E i fiumi di soldi che pure sono stati stanziati a più riprese appaiono, da soli, insufficienti. Non bastano le infrastrutture. È necessario rimboccarsi le maniche per annullare le drammatiche differenze sia sociali che economiche esistenti tra due fasce di popolazione sempre più contrapposte e diverse. Quella più debole è sembrata negli ultimi anni addirittura involuta. Immergendosi in un clima che sa quasi di “apartheid”.

Pare sia grosso il termine, ma se a prevalere nel resto della popolazione è l’indifferenza, se non proprio la paura, verso un fenomeno di tale portata, la Francia ne esce sconfitta. Vittima peraltro di contraddirsi sul suo stesso credo. Quello dell’eguaglianza.