Mamma Rai continua a perdere pezzi. E un po’ di pilastri. L’ultimo è Corrado Augias. Sarà Ranucci il prossimo?

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Difficile dargli torto quando afferma “Stanno demolendo la Rai”. Corrado Augias prende garbatamente atto del clima che impera a Viale Mazzini, e se ne allontana a testa alta. Dalla stessa porta che varcò la prima volta il 1° luglio ’60, l’estate in cui Livio Berruti vinceva l’Oro alle olimpiadi capitoline. Augias, di suo, aveva vinto il concorso per lavorare alla televisione pubblica. Cosa che ha fatto egregiamente in tutti questi anni, lasciando una impronta di cultura e un piacere nel divulgarla come pochi altri colleghi giornalisti. Ora i tempi sono cambiati.

In maniera piuttosto evidente. “Non sono più un giovanotto” dice “avrei dunque piacere di poter lavorare con persone amiche, in un ambiente cordiale, così come accadeva in Rai. Oggi questo non c’è più”. Purtroppo, aggiungiamo. A ben vedere, si ha come l’impressione che Giorgia Meloni e i suoi stiano facendo un po’ la parte dell’asso pigliatutto. Per giunta, in maniera a dir poco sconsiderata, senza un valido progetto e col principio dell’uno vale l’altro che preoccupa, e tanto. Con l’ingordigia palese di mettere in soffitta quella che per loro è stata la Rai dei comunisti. Allarma, peraltro, la nonchalance con la quale si affidano programmi a personaggi perlomeno dubbi, a volte addirittura inadeguati. Insomma l’ingerenza politica del governo meloriano appare pressoché totale.

Si dirà, è stato sempre così. Per carità, certo. La spartizione delle tre reti pubbliche, specie nei notiziari, tra DC, PSI e PCI è stata la “normalità” per lungo tempo. Ora però è diverso, si lavora col piccone e si rimpiazza con grossolana superficialità. I risultati, come si suol dire, sono sotto gli occhi di tutti. Si stenta a decollare, anzi si avverte netto il pericolo che si possa precipitare negli ascolti. In parte è già successo. E non potrebbe essere diversamente, visto che qualche trasmissione, chiusa solo per principio, ha lievitato gli ascolti e portato lo share a percentuali inimmaginabili per la concorrenza. Ci riferiamo palesemente alla trasmissione di Fazio Che tempo che fa, approdata a Discovery, sul Nove. Ma sono felici anche a Mediaset, dopo il riciclaggio di Cartabianca. Ed anche a La 7 di Urbano Cairo. Il patron è stato ben felice di offrire riparo ad Augias. Per la verità, lo era già stato, quando il programma di Massimo Gramellini non trovò più posto nella tivvù di Stato.

Concludendo, è semplicemente inverosimile che l’attuale governo possa sottovalutare l’importanza della pubblicità e gli introiti che ne derivano. Se a questo si aggiunge lo sconto concesso sul canone, vecchio pallino di Matteo Salvini, si capisce bene che anche la gestione finanziaria della Radiotelevisione Italiana   promette granché di buono. Sarebbe pleonastico, a questo punto, ricordare il principio secondo il quale sono proprio le scelte commerciali a determinare la misura delle entrate. È un principio elementare. Che evidentemente sfugge a molti. Se offri programmi modesti, in qualche caso addirittura scadenti, gli introiti pubblicitari vanno a farsi benedire. Piaccia o no.