Garcia in azzurro con la fame giusta

Rudi Garcia è il nuovo allenatore del Napoli. È l’ennesimo coup de theatre col quale Aurelio De Laurentiis ha sorpreso i tifosi e la stampa sportiva. Col francese era in lista, tra gli altri, il connazionale Christophe Galtier, in uscita dal Paris Saint-Germain, ritenuto in pole position fino a qualche giorno fa. Poi la scelta, quasi inattesa, è ricaduta sull’ex tecnico di Roma e Lille. Il presidente l’ha presentato ai giornalisti nella splendida Reggia di Capodimonte. D’obbligo le prime dichiarazioni nelle quali il mister è apparso felice, sicuro e anche ambizioso. “Nulla mi fa paura, sono qui per vincere ancora” ha dichiarato. Dal canto suo ADL ha subito chiarito: “Nei sogni miei e in quelli dei tifosi c’è almeno la finale di Champions”.

Garcia forse non sarà, o non sembrerebbe, un tecnico di prima fascia, ma detiene un palmares di tutto rispetto che lo colloca tra i coach più sottovalutati. Sulla panchina giallorossa, dove all’inizio conquista dieci vittorie consecutive, arriva secondo per due stagioni, su quella del Lille ha vinto un campionato francese e una Coppa di Francia sconfiggendo in finale la corazzata del PSG. Finalista di Europa League nel 2018, deve arrendersi all’Atletico de Madrid di Simeone. Nel 2010-2011 viene nominato miglior allenatore della Ligue 1 e si classifica 7° nella graduatoria mondiale. Ma come gioca Garcia? Per il presidente, il mister è un convinto fautore del 4-3-3. “In fondo l’ho preso per quello, depistando voi giornalisti cui avevo fatto intendere che stavo trattando su più nomi”. In conferenza stampa però il tecnico fa capire a chiare lettere di poter modellare la squadra anche con schieramenti diversi, in primis il 4-2-3-1 o anche il 3-5-2 che fu tanto caro a Walter Mazzarri.

Non è tanto importante, dice Garcia, il modulo quanto lo spirito e la mentalità che si inculca ai ragazzi per praticare un gioco votato all’attacco e che, come tale, possa assicurare ancora tanto spettacolo a una piazza così speciale come quella di Napoli. Molto dipende, aggiungiamo, anche dal “capitale umano” che avrebbe disponibile il transalpino. E il pallino ancora una volta è nelle mani della Società. Riuscirà don Aurelio a resistere alle tentazioni (che sono già tante), e peraltro legittime, di non metter via i pezzi da novanta? Vedremo l’evolversi delle prossime settimane.